Mohawk
Il mio viaggio lungo le coste italiane mi ha portata fino a Porto Cesareo,
un paesino di mare in provincia di Taranto.
Gente del posto, molti turisti, decine di cani randagi che scorrazzano per
le vie del paese.
Un piccolo porto, un grande parcheggio con decine di camper che arrivano un
po’ da tutta Europa, attirati dal mare splendido
come in pochi altri posti.
E in mezzo ai camper e alle macchine, c’è una cuccia improvvisata con delle
assi di legno, una ciotola con un po’ di acqua
e un cartello: "Al bastardo che mi ha abbandonato io gli do il perdono
perchè sono nobile. Prova ad esserlo anche tu,
portandomi dell’acqua e qualcosa da mangiare".
Mi guardo intorno ma non vedo nessun cane nelle vicinanze.
Il caldo insopportabile mi fa scappare in spiaggia, dove vengo gentilmente
allontanata perchè "il mio cane potrebbe
rappresentare un pericolo per i tanti bambini che giocano in riva al mare".
Probabilmente qui la gente non conosce gli animali, non so, litigare è
inutile e quindi torno al porto, curiosa di vedere
il piccolo randagio che vive nel parcheggio.
Una signora inglese mi avvicina per chiedermi se la mia cagnetta vuole un pò
di acqua, e io mi fermo a parlare con lei.
Mi racconta che lei è lì da quasi un mese, e il cane randagio ogni sera va a
dormire vicino al suo camper, silenzioso,
stanco.
E finalmente lo vedo, arriva vicino a noi strisciando le zampe posteriori,
sporco, affaticato per il grande caldo e lo sforzo
di camminare, ma fiero.
Si siede all’ombra di una macchina, e resta lì, immobile, fino a quando il
sole tramonta e l’aria diventa più fresca.
E’ un bel cane, dev’essere figlio di un pastore tedesco, anche se della sua
antica bellezza poco è rimasto, nascosta dallo
sporco, dalle croste, da ciocche di pelo che nessuno gli pettina più da
infinito tempo.
Mi avvicino per accarezzarlo, ma lui mi manda via, abbaiandomi contro.
Non insisto, capisco la sua diffidenza.
Faccio un giro nel paese, vedo cani dappertutto, di ogni tipo, di ogni età,
cani belli e cani un pò meno belli, ma tutti con
una cosa in comune: soli.
Senza un padrone, senza una casa, lasciati al loro destino di randagi,
guardati con cattiveria o con compassione, nessuno che
gli regala una carezza o una parola dolce.
Mi si stringe il cuore. Torno al parcheggio, ormai è diventato la mia casa,
ogni volta che mi allontano non riesco a non
pensare agli occhi del cane più triste che mi sia mai capitato di vedere.
Lo trovo davanti alla sua cuccia, immobile, il suo solito sguardo fiero
diritto davanti a sè.
Lo ammiro, è un combattente, decido di dargli un nome. Lo chiamo Mohawk. E’
il nome di un guerriero indiano che quando ero
piccola tanto ammiravo.
Passo la notte al parcheggio, e la mattina Mohawk è ancora lì.
Provo di nuovo ad avvicinarmi, ed ora si lascia accarezzare abbassando le
orecchie, penso che non riceva un gesto d’affetto
da troppo tempo.
Passano le ore e Mohawk sembra fidarsi un pò più di me.
Gli do da mangiare, gli cambio l’acqua, sto lì con lui a contemplare i
passanti.
La gente si ferma a guardare, legge il cartello e fa delle facce strane:
ride, sorride, rimane indifferente, scuote la testa,
ma nessuno sembra mostrare nessun segno d’affetto per questa povera bestia
la cui unica colpa è quella di essere un cane
vecchio e un pò malato, con troppa rabbia dentro di sè.
Arriva di nuovo la sera, e mi fermo a parlare con la simpatica signora
inglese, che mi presenta il suo cagnolino Snoopy e mi
racconta un sacco di cose.
E così scopro che la sera successiva in quel parcheggio ci sarà un gran
concerto, e che loro la mattina seguente dovranno
sgomberare tutti quanti, andare da qualche altra parte.
E Mohawk?
Lo porteranno via, in qualche canile.
Migliaia di pensieri mi attraversano la mente, vorrei portarmelo via ma so
che è impossibile, ho già due cani e mantenerli
mi è già difficile, ho una casa piccola e senza giardino, e Mohawk ha
bisogno di spazio, di cure veterinarie.
Mi allontano dal parcheggio, sono a disagio, mi fermo a parlare con una
ragazza che mi racconta di un canile che esisteva
anni prima in quel paese, che era gestito da una vecchia signora moglie di
un finanziere che era morta soffocata da un
attacco d’asma. Asma causato da una forte allergia al pelo degli animali.
Le chiedo perchè il canile sia stato chiuso, e lei mi risponde che lì i
randagi per i paesani non sono un problema, che la
gente se ne frega e che quando diventano troppi qualcuno pensa ad eliminarne
un pò.
"C’è tanta gente che si è offerta di gestire il canile" mi racconta " ma
nessuno vuole che venga riaperto, ed è lì a marcire
da molti anni".
Ma come può la gente essere così maledettamente insensibile?
Torno da Mohawk, guardo la sua cuccia, guardo i suoi occhi, e prendo la mia
decisione.
Mohawk verrà via con me. Costi quel che costi.
Lascio detto alla signora inglese che se dovessero venire i vigili a
sgomberare il parcheggio, di impedirgli di portare via
il cane, che io me lo porterò via con me.
Vado a comprare un paio di cose, e quando torno al parcheggio non c’è più
nessuno, i camper se ne sono andati e la cuccia di
Mohawk non c’è più.
Scendo dalla macchina e corro da un vigile.
"Il cane" balbetto, "dove l’avete portato?"
Il vigile mi indica una barca di legno rovesciata sull’asfalto, in un angolo
del porto.
Sotto c’è la cuccia, e in un angolo Mohawk.
Non ho idea di come possa reagire ad un collare ed un guinzaglio, ma non ho
scelta.
Immobile si fa infilare il collare, si alza e mi segue verso la macchina.
Non riesce a salire, dobbiamo tirarlo su in due.
Mentre ce ne stiamo andando si avvicinano un ragazzo e una ragazza.
"Ve lo portate via?" ci chiedono.
Annuisco.
"Trattatelo bene, ci eravamo affezionati, gli abbiamo costruito noi la
cuccia.."
Li guardo e sorrido. Non potrei mai fare del male ad un animale.
Ce ne andiamo, inizia un lungo viaggio che per Mohawk sarà lungo e
stressante, ma che affronterà con coraggio e tanta
volontà.
E’ un combattente, l’ho capito sin dalla prima volta che l’ho guardato negli
occhi.
E sento che gli voglio un gran bene, e anche lui sembra dimostrare interesse
verso di me, anzi più che altro verso il mio
ragazzo, che non perde un attimo di vista.
Lo segue ovunque, nonostante la fatica di trascinarsi dietro le zampe
posteriori che lentamente sta cominciando ad usare di
nuovo, sollecitato da qualche forza misteriosa che lo spinge ad andare
avanti.
Ha scelto il suo padrone, e penso che questo suo nuovo padrone sarà capace
di dargli tutto quello che nessuno gli ha mai
saputo dare, e sarà a lui che darà tutto quell’amore che per tanti anni ha
tenuto in serbo per qualcuno che ora è arrivato.
Barbara
Torna a racconti e poesie
|